domenica 31 marzo 2013

L'impatto antropico e la pratica del fuoristrada

Usata spesso a sproposito e con la stessa attendibilità di un'estrapolazione statistica, l'accezione comune della locuzione "impatto antropico" pare riflettere più una valutazione personale di chi la usa che il riscontro oggettivo di una modificazione dell'ambiente e del territorio derivante da attività umane.
E' anche vero che l'Uomo, in quanto abitante della Terra al pari di tutte le altre creature, non avrebbe alcun motivo per valutare il proprio impatto diversamente da loro se non fosse che la tecnologia che è in grado di esprimere lo eleva, come potenziale distruttivo o modificatore, ben al di sopra della media.
Pare proprio infatti che tra le pulsioni primarie dell'Uomo debba essere annoverata di diritto l'evoluzione culturale e quindi tecnologica.
 
A questo proposito, va detto per inciso che distinguere tra cultura e tecnologia sarebbe un errore di valutazione simile a quello che, ormai da secoli, porta la maggioranza della gente a dicotomizzare il sapere in due branche apparentemente antitetiche eppure complementari.
Ma basta pensare alla letteratura come ad una scienza della comunicazione, alla matematica come ad un linguaggio descrittivo (oltre che analitico) ed alla tecnologia come ad una materializzazione di pensiero funzionale per comprendere come scienza e cultura sono la stessa identica cosa pur se approcciate da ottiche diverse.
Del resto, lo stesso Principio d'Inderminazione di Heisemberg afferma che non è possibile osservare un fenomeno senza in qualche modo modificarlo e quindi se ci si avvicina ad esso in maniera diversa, diversa risulterà la visione della realtà.
 
Tornando alla definizione generica di antroimpatto, molti tendono ad applicarla principalmente su considerazioni estetiche - senza altre valutazioni - e non solo: perfino nell'ambito delle sole apparenze esteriori, gli stessi critici riescono a scorgere la pagliuzza senza avvedersi della trave!
Faccio un esempio pratico.
Se, come succede spesso, c'è sempre qualche imbecille (non ho trovato una definizione più aderente alla realtà) che insorge contro un generatore eolico denunciandone il suo inaccettabile "impatto ambientale", si può stare sicuri che lo stesso acuto imbecille non si avvede del fatto che magari il generatore insiste, occupando qualche decina di metri quadri, in un territorio completamente DEVASTATO per migliaia di ettari da attività agricole o pastorali.
Eh si, perché la più devastante delle attività umane per quanto riguarda il vero e proprio Impatto Ambientale, non è la produzione industriale, men che meno è l'autotrazione ma è l'agricoltura.
Non a caso, le modificazioni del territorio dovute ad attività agricole sono le ultime a risultare visibili allontanandosi nello spazio dalla Terra, dopo che sono scomparse da un pezzo le aree urbane, le strade e perfino la Grande Muraglia cinese!
Gli amanti di una visione della "natura" allineata e coperta come quella che è fornita da un campo di grano o da un filare di viti dovrebbero capire che quella non è "natura" ma il risultato di una modificazione del territorio dovuta ad attività antropiche.
Anche i castori e tanti altri animali sono capaci di modificare il territorio su piccola e vasta scala a seconda delle loro esigenze o a seguito della loro stessa esistenza ma, va detto, non in maniera così incisiva come fa l'Uomo per sua scelta ponderata.
 
Quindi, tanto di cappello a chi si adopera - o crede di adoperarsi - in soccorso dell'Ambiente con la maiuscola ma suggerirei loro di cercare, prima di ogni altra valutazione, di capire in cosa consiste realmente una modificazione del territorio e dell'ambiente indotta da attività antropiche e di buttare giù una scala di valutazione che sia in grado di far comprendere immediatamente l'impatto complessivo di ogni singola attività.
 
 
Agricoltura
Come detto, appare evidente che non esiste attività umana ad impatto più alto sul territorio che non l'agricoltura e con essa la pastorizia intesa nell'accezione moderna dell'allevamento intensivo.
Eliminazione delle macchie naturali, irreggimentazione e deviazione delle acque fino all'impoverimento ed alla desertificazione di interi territori sono conseguenze praticamente inevitabili delle agricolture su vasta scala.
Certamente, cercare d'intervenire su di esse senza cercare di cambiare le nostre abitudini alimentari significherebbe lavorare su dei dettagli perdendo di vista una visione d'insieme per cui da un punto di vista STRETTAMENTE RAZIONALE non si può non dare ragione al veganesimo che avrebbe come primo effetto, oltre ad un miglioramento generalizzato della salute e dell'aspettativa di vita di ogni uomo sul pianeta, un vero risorgimento naturale dei territori modificati o devastati dai pascoli e dalle colture specifiche per l'alimentazione animale.
In questa valutazione, va tenuto conto del fatto che le estensioni di coltivazioni necessarie per foraggiare animali da macello, sono almeno di un ordine di grandezza superiori a quelle che sarebbero necessarie per alimentare DIRETTAMENTE noi esseri umani. Quindi, rinunciando o limitando di parecchio la carne nella nostra dieta, oltre ad un positivo impatto sulla salute, assisteremmo alla rinascita naturale di una quantità immensa di territori destinati (e devastati) dalle attività di allevamento a scopo alimentare.
Pare anche che la coltivazione - estremamente redditizia - del caffè sia responsabile della riconversione di parecchie aree destinate in origine a coltivazioni alimentari. Considerando che del caffè si può fare vantaggiosamente a meno o comunque si può limitarne di parecchio il consumo, anche sfumature come queste nella vita quotidiana di ogni singolo individuo comporterebbero effetti positivi significativi a livello globale.
La diversificazione delle nostre abitudini alimentari, con la reintroduzione di parecchi alimenti vegetali alternativi alle solite poche graminacee e legumi di cui ci cibiamo SOLO perché sono per i produttori le più convenienti, permetterebbe di contrastare la perdita delle biodiversità. Vale la pena quindi di tener presente che, alle nostre latitudini, ci cibiamo di preferenza di prodotti a base di grano non perché dal punto di vista alimentare sia superiore ad altre graminacee come l'orzo ma semplicemente perché offre una resa di raccolto superiore. Stesso discorso vale per frutta e verdura, leguminacee e quanto altro.
 
 

A differenza dei vegani puri, non sono del tutto contrario al consumo di carni (carne e "pesce" che sempre carne è!) ma lo sono nei riguardi della carne d'allevamento intensivo, sia per la sofferenza imposta agli animali, sia per la stessa qualità di carni e uova prodotte da animali sottoposti ad una vita e ad un'alimentazione insana come quella derivante dal loro allevamento industriale.
Le attività venatorie o di pesca amatoriale potrebbero fornire OCCASIONALMENTE carni "fresche" e naturali che potrebbero integrare ogni tanto la nostra dieta vegetale senza pregiudicarne la salubrità, anzi integrandola appunto, in modo da renderla simile a quella paleolitica che molti individuano come la nostra dieta più consona, avendola praticata per un tempo maggiore rispetto a qualsiasi altra nel corso della nostra presenza sulla Terra.
Per questo sono favorevole alla caccia - che per inciso "assicura" una fine naturale ad ogni animale catturato ed abbattuto - ma assolutamente contrario ai disumani allevamenti industriali.


 
Produzione industriale
Non v'è dubbio che la produzione industriale possa occupare di diritto il secondo posto in una scala decrescente di valutazione dell'impatto antropico e ciò non tanto - come considerano a torto molti - per l'insistenza stessa e per l'impatto diretto dell'opificio sul territorio ma per tutti i danni indotti a partire dal reperimento ed affinamento o produzione delle materie prime, il loro trasporto, l'impatto provocato della produzione, di nuovo il trasporto dei prodotti finiti ed infine dal loro smaltimento.
Gli interventi possibili in questo settore sarebbero infiniti ma io continuo ad insistere su quelli che a me risultano più fattibili ovvero una limitazione drastica della produzione automobilistica attraverso il miglior sfruttamento possibile dei veicoli già prodotti - ovvero l'usato - evitando di mandarli in rottamazione troppo presto, molto prima che risultino inservibili o poco convenienti da utilizzare e prima ancora sull'assurda abitudine di imbottigliare, vendere e consumare acqua potabile in bottiglie di plastica trasportandola per migliaia di chilometri fino al consumatore. Un'abitudine davvero idiota, facilmente evitabile ed oltremodo decadente.
 

 
La viabilità
Ma è proprio necessario costruire ed ampliare continuamente strade e viadotti?
Una domanda che l'esercito di idioti (non definibili altrimenti) che si schiera contro la pratica del fuoristrada motorizzato non si pone mai è "Qual'è il reale impatto di una strada sul territorio e sull'ambiente naturale inteso sia come vita animale che come vegetazione?"
Rispondo io: E' tanto grande che solo difficilmente è valutabile sotto tutti i suoi aspetti.
 
Premesso che la necessità di costruire nuove strade ed ampliare quelle esistenti deriva principalmente da un ingiustificato aumento del traffico terrestre che potrebbe essere grandemente ridimensionato, nel nostro Paese, sviluppando al massimo quello marittimo e ferroviario (evitando di svendere le ferrovie ad operatori privati) e soprattutto lavorando sui presupposti che costringono la gente a spostarsi per lavoro e le merci ad essere trasportate su e giù invece di essere prodotte ed utilizzate sul posto, bisognerebbe valutare attentamente, ogni volta che si prende in considerazione la costruzione di una nuova strada o un significativo ampliamento di una viabilità esistente, la reale portata dell'impatto ambientale dell'opera.
Per "strada"s'intende ormai un'opera moderna che consiste in un nastro estremamente regolare si asfalto posto su di una sede il più possibile lineare a prescindere dalle caratteristiche orografiche del territorio. Quindi la preparazione della sede comporta quasi sempre consistenti sbancamenti e movimenti di terra con alterazioni importanti e definitive delle preesistenze naturali, impermeabilizzazioni, canalizzazione forzata delle acque piovane ed eventualmente fluviali, stendimento di eventuali linee d'impianto accessorie (ad es.: illuminazioni) e, nei casi più eclatanti, trafori e viadotti.
Ora, quanti di noi si sono mai immedesimati nella fauna e nella flora al cospetto della devastazione operata dalla costruzione di una strada moderna ed asfaltata capace di dividere gli ambienti naturali in tante schegge di un insieme originario e di deviare ed irregimentare i flussi delle acque?
Perché è questo che comporta una strada tracciata su di un territorio naturale, dovrebbero tenerlo ben presente i sedicenti amanti della natura che si battono contro alla pratica del fuoristrada motorizzato, il cui reale impatto sull'ambiente è pressoché nullo a meno di non effettuare valutazioni puramente estetiche sulle tracce lasciate dalle ruote ma che sarebbero ben contenti, a bordo delle loro scintillanti ed impeccabili auto da strada su comode e livellate strade asfaltate, di attraversare ed osservare ambienti naturali relegati dietro alle immaginarie sbarre di uno zoo, ben lontane dal poter sporcare di fango le suole delle loro scarpe, lisce come l'asfalto.

Fuoristrada in armonia con la natura: niente strade = nessun impatto ambientale!



 
 Appendice: geoingegneria e guerra climatica
Più difficilmente apprezzabili da chi non si guarda intorno con spirito critico, queste due piaghe moderne passano inosservate ai più che ignorano - o negano pervicacemente - che sono in atto da anni operazioni di geoingegneria e di modificazione climatica su scala planetaria ma particolarmente concentrate ed apprezzabili in determinate zone ad alta antropizzazione.
Più che di due pratiche distinte, si tratta in realtà di considerare due punti di vista della stessa scienza in quanto la modificazione climatica non è che una branca della geoingegneria, disciplina che lontano dalla consapevolezza popolare ha raggiunto un livello di potenza ed efficacia di cui ancora pochi al mondo si sono resi pienamente conto.
E' noto da diversi decenni, ad esempio, che esistono diverse tecniche per provocare terremoti artificiali sia come fine dichiarato che come effetto collaterale di determinate pratiche geologiche. Un terremoto può essere provocato artificialmente in zone non sismiche ricorrendo a potenti cariche esplosive sotterranee oppure, disponendo le cariche in maniera opportuna su faglie critiche in zone già a rischio sismico, si può far precipitare un evento sismico che sarebbe accaduto naturalmente prima o poi, tenendo presente che i tempi geologici trascendono la nostra breve esistenza sulla Terra.
Altresì, un sisma si può scatenare in un ambito abbastanza circoscritto come effetto collaterale della tecnica di estrazione di gas naturali detta "fratturazione idraulica" o più brevemente "fracking" che si sospetta sia all'origine dell'ultimo terremoto in terra emiliana non riconosciuta a rischio sismico.
Anche onde anomale in grado di spazzare le coste possono "tranquillamente" essere provocate da esplosioni sottomarine ancor più efficacemente se coadiuvate dal crollo di una parete sottomarina già in equilibrio precario o da una faglia in tensione che "non vedeva l'ora" (si parla sempre di tempi geologici) di liberare la sua energia.
Quindi attenzione a considerare di origine naturale tutti i sismi ed i disastri degli ultimi anni: non è solo da oggi che si può fare e conoscendo l'Uomo sappiamo che se una cosa si può fare, prima o poi qualcuno la farà. Vale sempre la pena di chiedersi se un sisma o un disastro, magari stranamente circoscritto e sospetto come quello di Fukushima, può essere stato scatenato intenzionalmente per una ragione plausibile ed a vantaggio o detrimento di qualcuno.

Ma la geoingegneria non è solo questo; in fondo il ricorso agli esplosivi per tali scopi, sia di tipo tradizionale che nucleari, è una pratica sperimentale che risale alla 2a Guerra Mondiale ed oggi sappiamo che il bombardamento della ionosfera con tecnologia HAARP può presumibilmente operare veri "miracoli" di ordine geologico senza neanche dare nell'occhio.
In rete, anche tramite i link indicati nella colonna di destra, si possono approfondire questi argomenti.

Abbiamo detto che la modificazione climatica è solo un aspetto della geoingegneria ma di questa rappresenta forse l'effetto (o per altri versi la causa) più facilmente visibile essendo messa in atto ANCHE attraverso le irrorazioni aeree a tappeto, al secolo le famigerate "scie chimiche" che per una folta schiera di imbecilli, parenti forse di quelli già citati, semplicemente "non esistono" e/o non vale neanche la pena di indagare.

Certo è che inondare i cieli di particolati metallici e tossici o batteri non è un toccasana per l'Uomo e neanche per l'ambiente e allora se c'è qualcuno che crede di avere un tale livello di coscienza da sentirsi in dovere di schierarsi con coloro che vogliono preservare la natura e con essa noi, è bene che prenda apertamente posizione contro questa pratica criminale, mettendola in agenda al primo posto tra gli argomenti di battaglia e discussione.