martedì 28 maggio 2013

L'allarmismo ingiustificato è un reato penale ma intanto ci si organizza per il prossimo, devastante terremoto

Questa volta faranno le cose in grande per mietere quante più vittime possibili. Garantito. «Dobbiamo aspettarci un nuovo forte sisma, come quello dell’Irpinia: non sappiamo come, dove e quando avverrà… Ma sappiamo che arriverà nuovamente il giorno in cui ci troveremo a fronteggiare un’emergenza internazionale…».
Ecco cosa ha dichiarato un mese fa in occasione del festival del volontariato il prefetto Franco Gabrielli, ex capo dei servizi segreti civili (Sisde, poi Aisi), attuale numero uno della Protezione Civile per nomina diretta del Governo Berlusconi al posto del famigerato Guido Bertolaso.

L’allarmismo ingiustificato o infondato è un reato penale anche se viene alimentato dai vertici dello Stato? E se avesse ragione il numero uno del carrozzone statale? Ma se i terremoti per la scienza civile sono imprevedibili, allora il dottor Gabrielli è un chiaroveggente, oppure è stato informato da chi provoca i sismi artificiali, come nel caso delle forze armate degli Stati Uniti d’America che occupano illegalmente lo Stivale? A rigor di logica: delle due, l’una. A voi la scelta.





Che l’Italia sia soggetta ad un rischio sismico è una constatazione pari alla scoperta dell’acqua calda. Allora, perché un individuo strapagato con denaro pubblico che ricopre un importante ruolo sociale per conto delle Autorità di Governo soffia sul fuoco, annunciando che il Belpaese deve prepararsi ad un nuovo violento sisma? Gabrielli oltre ad essere uno sbirro particolarmente amato dalle alte sfere, è dotato di poteri speciali e straordinari. Che servano per calpestare impunemente le norme del diritto, ammantandole con emergenze e deroghe utili all’edificazione di opere pubbliche e profitti privati?

Un esperto, Alessandro Martelli, direttore del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) di Bologna, un anno fa ha dichiarato pubblicamente che un sisma devastante (“settimo grado della scala Richter) colpirà il Sud Italia. L’esperto ha ribadito questa previsione in audizione parlamentare. Immaginate cosa si prospetta, ad esempio, per intere città del Meridione: Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Cosenza, Potenza, Matera, Taranto, Brindisi, Lecce, Bari, Foggia, Termoli, Campobasso, Pescara, Sulmona. Il grande botto è atteso per il 2013, tant’è che la Protezione Civile si è affrettata a far bandire dalla Consip (controllata dal ministero dell’Economia & Finanze) l’acquisto di 12 mila prefabbricati per l’ennesima emergenza in arrivo che durerà così è scritto nelle previsioni dello Stato, almeno 6 anni.

Tale azione, però, non ha nulla a che vedere con la prevenzione. E a questa constatazione aggiungiamo il fatto che l’anno scorso, poco prima del terremoto in Emilia del 20 maggio, il Governo dell’eterodiretto Mario Monti (affiliato alle multinazionali terroristiche del Bilderberg Group e della Trilateral Commission che hanno come primo obiettivo la drastica riduzione della popolazione mondiale) ha emanato un decreto, sottoscritto anche dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (associato all’Aspen Institute finanziato dal medesimo Bilderberg dei criminali mafiosi David Rockefeller ed Henry Kissinger, quest’ultimo ricevuto in pompa magna da Napolitano) in cui lo Stato non ha più alcuna responsabilità in caso di disastri “naturali”, in realtà artificiali, così il quadro è completo.

Sul piano della prevenzione e sul risanamento del territorio sottoposto anche al dilagante dissesto idrogeologico ed alle ferite inferte quotidianamente dall’uomo avido, tutelato dalle leggi statali e regionali, l’unico efficace rimedio non è stato posto in essere. Anzi, soprattutto nel Mezzogiorno, le Regioni (sospinte dai Comuni) e lo Stato hanno consentito in totale deregulation normativa la realizzazione di impianti eolici industriali in salsa mafiosa (l’Appennino Meridionale: Puglia, Campania, Molise, Basilicata) nonché la pioggia di cemento ed asfalto in tutte le varianti, comprese ed incluse le aree protette.

Due più due notoriamente fa quattro. La più potente arma di controllo delle masse è la paura. Allora basta incuterla a dovere dall’alto di un pulpito istituzionale, incarnando un ruolo di potere per conto terzi.

Come si uccide l’Italia? Gradualmente, un po’ alla volta, atterrando anche l’economia di aree particolarmente produttive (Emilia Romagna, Veneto, ed ora perfino Toscana in Garfagnana).

Ci sono eventi e dettagli sul terremoto aquilano del 6 aprile 2009 (6.1 di magnitudo momento della scala Richter registrati a livello internazionale e non 5.8 come attestato dall’INGV) passati direttamente nel dimenticatoio, su cui invece dovremmo soffermare la nostra attenzione. Berlusconi, Maroni e Bertolaso devono ancora spiegare al popolo italiano, soprattutto aquilano, ma soprattutto alla magistratura competente e determinata a far luce e persguire fino in fondo i responsabili di quella mattanza, perché mai mentre la Commissione Grandi Rischi il 3 marzo 2009 raccomandava pubblicamente la popolazione locale di stare a casa tranquilla, le autorità dello Stato sgomberavano di nascosto, qualche giorno prima del tragico evento, la sede della prefetura di L’Aquila, sede di coordinamento della Protezione Civile.

Dopo la strage di 27 bambini ed una maestra a San Giuliano di Puglia (il 31 ottobre 2002) provocata da un terremoto anomalo con ipocentro a dieci chilometri di profondità (genesi su cui è aperta un’inchiesta investigativa di ricercatori indipendenti), nel 2003 mediante il Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) numero 3274 veniva riformulata la classificazione delle zone sismiche del territorio italiano e stabilite le normative tecniche inerenti le costruzioni e ristrutturazioni nella varie zone sismiche. In base a quale principio scientifico e/o tecnico, sono state frettolosamente cambiate le carte in tutta la Penisola, isole incluse, resta un mistero di Stato.

«Il Comune dell’Aquila, stranamente non rientrava nella zona 1 (Pericolosa), ma in zona 2, zona che in passato ha avuto danni per terremoti abbastanza forti, anche se risultava raso al suolo nel 1703» mi fa notare Marco Righetti.

Il 16 aprile 2009 l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, a scanso tardivo di responsabilità, ovvero del gioco italiota dello scaricabarile con i morti ancora caldi a terra, pubblica la monografia “Pericolosità sismica, normativa e zone sismiche nell’Aquilano”, a cura di C. Meletti ed M. Stucchi.

Nel report si legge: “Con questo intervento intendiamo fare il punto sulla evoluzione della collocazione nelle zone sismiche dell’area dell’Aquilano in relazione alla sua pericolosità sismica. Il comune dell’Aquila fu classificato come sismico sin dal terremoto del 1915 del Fucino. Nel 1927 furono introdotte le classi (ovvero zone) sismiche e l’area dell’Aquila posta in classe 2, come quasi tutti i comuni dell’area. Altri 10 comuni della provincia furono classificati solo dopo il 1962; 4 di questi in seguito al terremoto del 1958. In seguito al terremoto di Irpinia e Basilicata del 1980, nel 1984 tutto il territorio nazionale fu riclassificato con criteri omogenei, sulla base della “Proposta di riclassificazione sismica” del Progetto Finalizzato Geodinamica (GdL, 1980). Per tutta l’area aquilana fu confermata la classificazione sismica precedente: le aree colpite dai terremoti del 1915 e del 1933 erano zona 1, le altre in zona 2.

Nel 1998 uno studio svolto per conto del Dipartimento della Protezione Civile (“Proposta 1998”, pubblicato come Gruppo di Lavoro, 1999) propose una nuova classificazione dei comuni italiani, che tuttavia non venne adottata dalle autorità competenti. Anche in quel documento per il comune dell’Aquila veniva confermata la zona 2. Per tutta la provincia veniva confermata l’afferenza alla zona sismica in vigore, tranne 6 comuni per i quali si proponeva il passaggio in zona 1: Barete, Cagnano Amiterno, Capitignano, Montereale, Pizzoli, Tornimparte (Fig.3). In seguito al Dlgs 112/1998, la competenza in materia di aggiornamento dell’assegnazione dei Comuni alle zone sismiche passò a Regioni e Provincie Autonome. Allo Stato rimase la competenza di definire i criteri generali per tale aggiornamento e la competenza in materia di norme tecniche.

Il terremoto di San Giuliano di Puglia del 2002 riportò drammaticamente alla attenzione il fatto che la situazione delle norme e della classificazione era ancora la stessa del 1984. Con un intervento di emergenza, l’Ordinanza PCM 3274/2003 aggiornò l’assegnazione dei comuni alle zone sismiche, combinando la classificazione allora vigente con la “Proposta 1998” e definendo per la prima volta la zona 4; da allora tutta Italia appartiene a una delle 4 zone sismiche. Lo stesso provvedimento adottò una nuova normativa sismica, coerente con l’Eurocodice 8, e stabilì i criteri con i quali si sarebbe dovuto realizzare uno studio aggiornato di pericolosità sismica.

Per tutta la provincia dell’Aquila venne confermata la classificazione precedente, con l’eccezione dei 6 comuni già citati (Barete, Cagnano Amiterno, Capitignano, Montereale, Pizzoli, Tornimparte) che passarono in zona 1. Le Regioni recepirono, con modeste variazioni (Basilicata, Lazio, Campania, Sicilia e Provincia di Trento), le nuove assegnazione dei comuni alle zone sismiche con propri atti (Delibere delle Giunte Regionali) nel corso del 2003 e del 2004. L’Abruzzo (DGR n.438 del 29/3/2003) recepì le assegnazioni dell’Ordinanza senza modificarle…”.

A questo punto torna utile consiglio di lettura (per increduli e negazionisti), si tratta di uno studio pubblicato un decennio fa, intitolato “Stato delle conoscenze sulle faglie attive in Italia: elementi geologici di superficie. Risultati del progetto 5.1.2 “Inventario delle faglie attive e dei terremoti ad esse associabili (autori tre paleosismologi di chiara fama: F. Galadini, C. Meletti, E. Vittori). Ecco un breve stralcio introduttivo:

«Il progetto 5.1.2 “Inventario delle faglie attive e dei terremoti ad esse associabili” è legato alle ricerche in campo sismotettonico condotte dal GNDT nell’arco temporale di più di un decennio. L’importanza dei dati geologici sulle faglie attive ha fatto ritenere opportuna la raccolta ed una sorta di sistematizzazione delle informazioni disponibili sulle faglie attive del territorio nazionale. Questa fase di raccolta ha riguardato il solo ultimo anno della convenzione triennale 1996-1998. I database sulle faglie attive Già da diversi anni sono in corso di realizzazione presso altri enti delle banche dati contenenti le informazioni disponibili sulle faglie attive del territorio nazionale. Gli esempi più significativi vengono dall’Istituto Nazionale di Geofisica (Valensise e Pantosti, 1999) e dall’ANPA (Vittori et al., 1997)».
Aggiungo che, seppure fosse ben nota alle autorità – Stato, Regione, Provincia, Comune, Protezione Civile, INGV, esperti, nonché studiosi annessi e connessi – la presenza nell’area urbana aquilana di alcune faglie sismiche attive (si leggano almeno gli studi del professor Galadini), sono stati autorizzati comunque addirittura interi piani di lottizzazione edilizia. Ed ora si fa anche di peggio, in virtù del mero profitto economico, in attesa della prossima catastrofe.
 

Torniamo al recente passato per capire come chi detiene il potere pianifica il peggio. Nel 2004 l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia presentava alla Commissione Grandi Rischi, la mappa di pericolosità MPS04 (pubblicata nel 2006) che in molte zone non trova corrispondenza con la classificazione sismica suddetta, anzi quasi la disconosce, ma le Regioni non recepivano o meglio non si adeguavano.

In riferimento alla città dell’Aquila – ancora oggi militarizzata e non ricostruita nonostante le promesse non mantenute dal piduista Berlusconi, aspirante senatore a vita per accaparrarsi l’immunità – quest’area urbana, attraversata da arcinote e pericolose faglie sismiche attive rientrava nella mappa INGV in zona di massima pericolosità e non media come da decreto del presidente della Repubblica.

Così è partito il tragico balletto delle responsabilità tra INGV (“io l’avevo detto…”) e Regione (“io non l’avevo compreso e non capisco nemmeno cosa mi stai dicendo…”).

In riferimento ai membri della Commissione Grandi Rischi (in primis Enzo Boschi, a capo dell’ INGV per lungo tempo), sapevano benissimo che le costruzioni, ma soprattutto le ristrutturazioni realizzate, non sono adeguate alla pericolosità della zona. Poco dopo il terremoto di 4 anni fa, preceduto da una sequenza (decollata a giugno del 2008) simile a quella odierna che investe la Calabria (il Pollino) l’INGV pubblica un documento in cui si fa notare quanto sopra che suona come un “hai visto!”.

Le massime autorità scientifiche, tecniche e politiche per non smarrire l’abitudine a prendere per i fondelli il popolo italiano, dopo il terremoto del 6 aprile 2009 che ha mietuto 309 vittime umane (ma il bilancio poteva essere anche peggiore se i vigili del fuoco non avessero salvato migliaia di persone dalle macerie), sono state “cambiate” o meglio “differenziate” a livello nazionale le zone sismiche, tant’é che per l’Aquila, la Regione Abruzzo, per non smentirsi e ammettere il fatale errore costato la vita ad innocenti, la colloca ancora in zona 2 e non 1 (pericolosa). In altri termini: incongruenze, contraddizioni e speculazioni in nome del dio profitto. In compenso le norme di costruzione dell’attuale zona 2 sono circa le stesse della vecchia zona 1.

Questa tragica situazione – secondo Marco Righetti – «...è convenuta e conviene a Regione in quanto le opere edili pubbliche avrebbero un costo maggiorato (per progettazione e rispetto normative antisismiche più restrittive) di circa il 10/15 per cento e ai progettisti e Direttori dei Lavori (anche gli attuali) con meno responsabilità su danni precedenti e futuri, dovuti a sisma».
In altri termini, detto “terra terra”: in loco si stà ricostruendo con normative inadeguate all’effettiva pericolosità della zona. Rammentate le dichiarazioni illuminanti rilasciate dall’ex Direttore dell’INGV, tale Enzo Boschi – già condannato in primo grado a sette anni di reclusione dal Tribunale di L’Aquila – dopo il terremoto e pubblicate dal settimanale L’Espresso e dai quotidiani Il Corriere della Sera e La Stampa: «Prevedere terremoti? L’unica difesa è costruire bene… Anch’io ho fatto tutto quello che in genere si fa per la carriera. Ho leccato il sedere quando c’era da leccarlo, ho assecondato, ho chinato la testa: non ho paura di negarlo…».

L’amico Angelo de Gaetano ha riassunto in parole esaustive la situazione: «Il cerchio si stringe, prima le chiaroveggenze dei terroristi della protezione civile, e degli esperti governativi, poi la legge che smarca lo stato dalla ricostruzione, scaricando costi e oneri assicurativi sulle comunità colpite (appena prima del sisma dell’Emilia) ora la gara d’appalto della Consip per la fornitura degli alloggi di fortuna in quantità industriale. Il prossimo terremoto artificiale è davvero “prossimo” e non potrà che essere nel profondo Sud, considerata la necessità di mascherare la strategia del terrore con la fatalità della catastrofe imprevedibile. Prepariamoci spiritualmente a resistere, non ne verremo fuori in breve e soprattutto vinceremo solo se siamo disposti a mutare paradigma, dalla schiavitù di inutili consumi e tecnologie alla libertà della sobrietà e della coltivazione degli “alimenti spirituali”».

L’Italia in fondo è una colonia a stelle e strisce, a libertà controllata e priva di democrazia. Perfino i nostri ufficiali di Stato Maggiore sono subalterni agli yankees in divisa che spadroneggiano sulla nostra terra e sui nostri mari. E i padroni nordamericani, grazie ai traditori nostrani della Costituzione, della Patria e del Popolo Sovrano, al vertice dello Stato e del Governo (alla voce Napolitano e Letta), fanno dal 1943 i loro porci comodi senza che nessuno abbia il coraggio di affrontarli e sistemarli a dovere, rispedendoli tutti oltre Atlantico (milizie armate, armamenti nucleari e spie) tanto per iniziare.


di Gianni Lannes, visto su